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FUTURO A FUMETTI
01 Giugno 2020
 
Quattro chiacchiere in compagnia di un amico e prezioso collaboratore di GFB. L'argomento? La nostra grande passione... che altro sennò? 

È nato a Milano, vive sulle colline parmensi e passa buona parte del suo tempo nella Tokyo reale e virtuale (così dice di sé nel suo blog Fumetti e Robot, di cui consigliamo vivamente la lettura). Davide Castellazzi si autodefinisce scribacchino, ma è un serio consulente e progettista editoriale, scrittore (ha al suo attivo migliaia di articoli e qualche libro) nonché grande amico e protettore di felidi e canidi di ogni genere, di cui ospita copiosi branchi in giardino. Una persona che ha trasformato le proprie passioni in mestieri. Per noi Davide è un prezioso collaboratore (si dice così…) e soprattutto un amico, con cui si può approfittare della forzata rilassatezza da lockdown per fare due chiacchiere sul futuro professionale che (speriamo) ci attende.

Allora Davide oltre che sulle colline parmensi e a Tokyo (virtuale), anche tu avrai passato molto tempo a casa, come tutti… che cosa hai letto o stai leggendo di bello?
Ah! Ah! Rido perché la tua domanda presuppone che essendo a casa io non lavori, ma chi fa il mio lavoro (essenzialmente scrivere) per la maggior parte del tempo lavora a casa, quindi per me poco è cambiato. Comunque, tornando alla tua domanda, durante questi ultimi due mesi ho letto una bella biografia dell’artista Piero Manzoni (Stampa Alternativa), un libro sul design russo comunista (Phaidon) e sto leggendo “Giapponeserie d’autunno” di Pierre Loti (viaggiatore francese che si recò in Giappone nell’Ottocento) e “Il piccolo libro illustrato dell’universo” di Ella Frances Sanders, una sorta di guida all’universo per tonti come me. In ambito fumetto, un po’ di tutto: qualche Dylan Dog e Nathan Never, qualche manga, i comicbook dei Peanuts e, soprattutto, il capolavoro del fumetto italiano “Il Maestro” di Mino Milani e Aldo di Gennaro.

 
Ottimo consiglio… Visto che siamo in tema, come giudichi lo stato di salute del fumetto in Italia? Sia in una prospettiva storica, rispetto ai decenni passati, sia rispetto a quanto accade in altri Paesi.
Diciamo che il fumetto è attaccato a un respiratore, giusto per restare al contemporaneo… A un profano può sembrare un periodo roseo, dato che viene pubblicato di tutto, ma tutto vende poco. Il fumetto popolare - nel senso migliore del termine - sta agonizzando, perché le vendite sono troppo basse. Quello più autoriale, di nicchia, di libreria ha conquistato ampi spazi (ed è questa la vera differenza rispetto ai decenni passati), ma a prezzi di copertina molto alti. Ciò vuol dire che la base non si allarga, anzi si restringe, e che gli appassionati sono disposti a spendere di più per un buon volume. C’è poi il fenomeno degli allegati ai quotidiani, che consente ai lettori di acquistare a buon prezzo fumetti ottimi, ma sempre gli stessi, perché è impossibile produrre cose nuove a prezzi così bassi. Così, anche in questo caso, l’offerta è ampia, ma la base non cresce e i nuovi autori faticano a sopravvivere. La mia impressione è che il fumetto stia diventando un passatempo e una forma di cultura sempre più di élite. Riguardo agli altri Paesi è un discorso lungo, ognuno ha una sua storia, propri formati e modelli distributivi, quindi confrontarli è complicato, ma la mia impressione è che anche gli altri soffrano del medesimo problema: ampia offerta ma restringimento dei numeri.

Tu sei un riconosciuto espertissimo di manga e cultura pop giapponese. Com’è il panorama del fumetto in Giappone? Ci puoi segnalare qualche novità o tendenza interessante? 
Da almeno un decennio a questa parte anche il Giappone risente di un forte calo di vendite, solo che loro partivano da numeri così alti, milioni di copie, che comunque il mercato regge. Tempo fa si pensava che la soluzione al calo di vendite fosse la tecnologia: vendere manga su telefonini e altri device, ma per vari motivi la cosa non funziona, non a sufficienza almeno. Credo sia un periodo di transizione, in cui le idee non sono ancora chiare. Mi sembra si stiano sviluppando dei sottomercati, come gli autori che si autoproducono e vendono i loro manga in fiere specializzate dedicate solo a loro, e microeditori che pubblicano prima su internet e poi, se le opere sono apprezzate, le trasferiscono su carta.

Torniamo a casa nostra. Secondo la tua esperienza, come sarà il mondo dell’editoria a strisce dopo la pandemia? Cambierà qualcosa o… business as usual?
Non credo che la pandemia possa cambiare molto. Probabilmente ha incentivato l’e-commerce, spingendo un po’ di più a comprare da internet, ma bisognerà aspettare i dati di vendita definitivi per capire quanto questo ha inciso. Per il resto, vedo una certa staticità da parte degli attori principali, i grossi editori, che fanno fatica a trovare nuovi modelli di business.

Gli diamo un consiglio, sicuramente non richiesto?
Consigli? La fai facile tu, dipende dall’editore, dalla fetta di mercato ecc. ecc. ecc. Parlando in termini molto generali, non dico di abbandonare i mercati di nicchia (che hanno la loro importanza), ma farei uno sforzo per rivitalizzare il mainstream, il fumetto popolare. Come? Sicuramente investendo in nuove idee ma anche riprendendo, in modo nuovo, vecchi formati. Per esempio, oggi c’è una quasi totale mancanza di riviste contenitore. Le riviste permettono di allevare nuovi autori, proporli al pubblico a basso prezzo, fare scouting... È un po’ quello che fa «Topolino». In Giappone, anche se le riviste non producono utili – spesso vanno solo in pareggio – restano fondamentali perché le serie ospitatevi, quelle che hanno maggior successo, vengono poi rivendute in volume, si trasformano in anime, romanzi, gadget ecc. È, insomma, in seconda battuta che producono guadagni. Ovviamente servono grandi investimenti e una visione sulla lunga distanza, e mi sembra sia quest’ultima a mancare.